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lnsegnare 2.0? La libertà di scegliere anche lavagna e gesso

Proponiamo un articolo di Roberto Contu apparso su http://www.laletteraturaenoi.it/ il 1/2/2016. Ci sembra un interessante spunto di riflessione per evidenziare ancora una volta come l’artificiosa separazione tra contenuto e metodo porti con sé il rischio di sbilanciarsi troppo in un senso o nell’altro e di mettere in ombra quello che ci pare essere il vero centro del processo di insegnamento/apprendimento, e cioè il rapporto tra docente e discenti.

L’efficacia della lezione non risiede in una ricetta preconfezionata di uso di questo o quel metodo, ma nella capacità del docente di restare in ascolto, per conoscere l’intima domanda che c’è negli occhi dei suoi alunni…. per saper fare di volta in volta la scelta migliore tra le molteplici che può effettuare. La scelta migliore sulla base delle proprie capacità (anche contingenti), sui canali di apprendimento preferiti dei propri alunni, sul tipo di informazioni che deve trasmettere.

Sullo sfondo, anzi, alla base, restano le conoscenze che il docente deve avere per poterle trasmettere, ma soprattutto l’autenticità della sua esperienza e del rapporto che ha con i ragazzi, senza il quale ogni tentativo di lasciare il segno fallirà miseramente.

 

Elogio della lezione frontale. Il multimediale, le parole e il gesso

So utilizzare bene il pc. Lo so usare perché mi è sempre piaciuto farlo o semplicemente perché appartengo a una delle prime generazioni che l’ha usato fin dall’infanzia. A sette anni digitavo load/return su un Commodore 16 (ma avevo già messo le mani su un Vic 20), a dieci iniziavo a scrivere linee di Basic con il Commodore 64. Al liceo mi sono fatto regalare un Amiga 2000 per la possibilità di fare programmazione e utilizzare Workbench oltre che giocarci a SWOS. Ho visto, utilizzato e smontato tutte le versioni di Windows: dal primo a Win 95, per passare al 97, dal 2000-XP-Vista-7-8 fino all’attuale Win 10.

Ho sperimentato tante macchine, sono partito con un 286 e arrivato a un 486 per avere Monkey Island 2 che girasse fluido. Ho passato in rassegna i Pentium fino ad arrivare a l’ i7 che sto usando ora. Utilizzo la rete da sempre, ho iniziato a spedire mail fin dai tempi della loro comparsa. Nel frattempo ho scoperto il mondo Open source, Linux, ho iniziato ad aprire Terminal ma conosco bene anche il mondo Apple. So montare e smontare file, creare archivi e database, gestire hardware e far funzionare al meglio i software. Ho creato ipertesti, so costruire un sito web, abito naturalmente il mondo social. Mi tengo aggiornato, sto di fronte ad un monitor molte ore al giorno. Insomma posso dire di usare il pc bene. Non a livello di un informatico certo, ma so utilizzare il pc bene.

 

Lo utilizzo a scuola

I miei alunni sono in rete con me, i gruppi classi on line sono da tempo una consuetudine nella mia prassi didattica. Mi sono presto interessato ai nuovi approcci didattici, possibili e immaginabili, che integrassero in modo intelligente passione per l’insegnamento, solidità degli obbiettivi e nuove tecnologie. Ho seguito corsi on line sulla flipped-classroom, capisco le potenzialità dell’e-learning, so gestire didatticamente un e-book. Utilizzo ogni risorsa che offre il registro elettronico apprezzandone la comodità e l’infinito risparmio di tempo che consente. Con il pc integro senza problemi la Lim sfruttandone le potenzialità, metto in condivisione i lavori, utilizzo mappe interattive, linee del tempo, questionari. Uso Moodle, cloud vari, per non parlare di software di ogni tipo, dai più comuni (suite varie, Office, Prezi e simili) fino a software per l’elaborazione grafica (Gimp, Photoshop), video (Premiere Pro) e audio (Cubase, Pro tools, Reaper). Ovviamente so usare anche i nuovi device smart (telefoni e tablet) e relative applicazioni.

Ebbene?

Tutto questo per dire che, anche se il mio profilo sembrerebbe quello del cosiddetto docente 2.0, continuo a considerare la lezione frontale la pietra angolare del mio essere insegnante. Sì, proprio la lezione frontale, docente di fronte agli alunni, messi all’antica: l’uno in cattedra, gli altri seduti dietro i banchi a due, il libro o una fotocopia, nient’altro che voce e gessetto. Per scelta e aspirazione personale. Sebbene personalmente in grado di capire o utilizzare quanto di meglio le nuove tecnologie o metodologie possano offrire (ecco il senso della premessa giustificatoria). Al netto dei fiumi di parole spesi negli ultimi cinquant’anni sulla didattica innovativa. Consapevole di tutti i processi di ogni grado ad un sistema d’istruzione unidirezionale considerato obsoleto e improduttivo. Io so che, per quanto mi riguarda e per via del tutto empirica, i risultati migliori a scuola li ho ottenuti e li ottengo con lezioni frontali. Con una precisazione: ad oggi, dopo tredici anni di insegnamento, un dottorato e un impegno anche nella ricerca letteraria e didattica, posso dire di saper fare lezione frontale, per come la intendo, solo su alcuni argomenti, quelli che ho studiato molto bene e che conosco molto bene.

 

Per capire

Alcuni esempi per stemperare l’apparente banalità dell’ultima affermazione. Negli ultimi anni ho lavorato e studiato a lungo su alcuni autori della nostra letteratura moderna e contemporanea. Contemporaneamente ho insegnato in diverse quinte classi di istituti tecnici dove (ma tu guarda) ho fatto lezioni frontali su Pasolini e Calvino, della durata anche di due ore, con un piccolo intervallo nel mezzo, senza problemi di cali di attenzione e con risultati ottimi alle verifiche. Ho letto passi da Che cos’è questo golpe o L’antitesi operaia e gli alunni non si sono annoiati (ne sono testimoni gli insegnanti di sostegno presenti), hanno capito (si, hanno capito lo snodo dei Settanta e la perdita di centro della riflessione sul reale di fine Cinquanta), ne hanno tratto beneficio all’Esame di Stato (ne sono testimoni almeno due commissari esterni di due tornate di esami). Alunni che studiavano meccanica e costruzioni, economia aziendale e informatica. Sempre in questi anni ho fatto leggere a delle seconde Il sentiero dei nidi di ragno e Una questione privata e poi ho fatto lezioni frontali sul punto di vista dei personaggi attraverso il rapporto con le armi da fuoco e gli alunni non si sono annoiati e i risultati sono stati altrettanto eccellenti (pur trattandosi di un contesto più complesso, quello del primo biennio). Potrei fare altri esempi (su Leopardi, Manzoni o la seconda rivoluzione industriale e le due guerre mondiali per quanto concerne l’insegnamento della Storia) ma il senso dovrebbe essere chiaro. Se l’insegnante è depositario di un’esperienza letteraria o storica compresa realmente e profondamente, la trasmissione di tale tesoro non sarà mai troppo complicata. Occorreranno i ferri del mestiere che sono tanti e andranno conosciuti, ma se l’esperienza fatta dal docente è vera, questa non potrà non diventare anche vera per gli alunni. Il vissuto emozionale provato da un insegnante per un’esperienza letteraria, per la comprensione di uno snodo storico denso e appassionante non potrà non transitare se vero e autentico. È questo a mio giudizio il grado zero della trasmissione didattica: il sentire che tutto ciò che si conosce con sicurezza passi e arrivi senza troppo faticare, quasi per osmosi verbale.

 

Sì, però

Ma allora, alla luce di quanto affermato, sarebbe possibile fare lezioni convincenti solo su argomenti su cui ci siamo laureati o addottorati? Certo che no, ed è qui che viene il bello o il brutto a seconda di come la si voglia vedere. L’insegnante è per definizione un soggetto che accetta di passare la vita a studiare ininterrottamente e in modo forsennato. È quello che ho sperimentato e che continuo a verificare ogni anno che passa, da tredici che sono in cattedra, con un pizzico di timore di reggere alla lunga ai miei pomeriggi cinque giorni su sette, dalle tre alle sei del pomeriggio chino sui libri, dopo le cinque ore mattutine di scuola. Insegnando prevalentemente al triennio mi occupo di letteratura italiana dalle origini ad oggi e della storia medievale fino a quella contemporanea. Ogni giorno mi trovo, oltre all’ordinario, nella necessità di studiare sempre più approfonditamente argomenti che continuamente mi sfuggono o che si complicano. Non parlo delle strategie di come comunicarli, no, parlo dell’argomento in sé, delle tanto vituperate conoscenze. Per riportare tutto in classe? Certo che no. Per sapere mille per poter trasmettere dieci, questo sì. Ogni anno che passa si ampia il ventaglio delle mie lezioni frontali che so arriveranno a traguardo. Ho in mente la mia personale lista di argomenti e autori dove so di aver bisogno giusto di un libro o di una fotocopia e una lavagna per portare a casa una lezione ben fatta (il nostro Novecento letterario mi è sempre più semplice da trasmettere). Ma ho in mente anche la mia personale lista di argomenti e autori dove so di aver bisogno di molti più strumenti per ottenere lo stesso risultato (quelle poche volte che ho dovuto insegnare Storia antica ho vissuto veri e propri calvari didattici a fronte della mia scarsa preparazione). Del resto non è esperienza di ogni docente quella di conoscere e accrescere le proprie carte vincenti e i propri argomenti a prova di classe, nonché quella di sanare i propri buchi formativi? So bene che il mio traguardo ideale (magari a fine carriera) dovrebbe essere quello di poter muovermi negli anni con sicurezza crescente su tutto il panorama curricolare delle mie due discipline (Italiano e Storia). Così bene da poter sostenere nel mio caso, anche una riuscitissima lezione frontale sulla cultura sumerica.

 

Concludendo

Il discorso è semplificatorio e forzato per suscitare un confronto dialettico. Ho in mente le possibili obiezioni ad una riduzione di questo tipo, occorrerebbe ad esempio specificare ed entrare nel merito di cosa significhi condurre con la parola e qualche colpo di gesso un’ora di lezione frontale. Occorrerebbe chiarire come la lezione frontale non implichi la passività (tantomeno verbale) dello studente e la sua esclusione dall’interazione con il docente. Occorrerebbe affrontare il tema dell’autorevolezza del docente, della sua costruzione al fine di consentire la prassi comunque forzata dell’ascolto unidirezionale. Concordo sul ritenere la pratica didattica migliore quella che integra in modo intelligente ogni risorsa spendibile in classe. Ma interessa porre la questione con una presa di posizione iniziale chiara: ribadire la centralità dell’insegnante e del suo bagaglio insostituibile di conoscenza. Sì, la conoscenza, parola a quanto pare sempre più soggetta ad un equivoco sottile e recente, quasi fosse la conoscenza pietra d’inciampo ad una formazione di tipo moderno, quella conoscenza che a mio giudizio resta invece alla base della trasmissione e della condivisione del serio sapere.

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