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La pedagogia e la nostra società vanno verso un obiettivo comune? 

Riportiamo un articolo che ci può aiutare a riflettere sul ruolo che la scuola riveste nella nostra società. Quando essa si sostituisce alla famiglia ci si espone a squilibri anche gravi, spesso senza pensarci.


I genitori “fortunati” nella società occidentale sono quelli che riescono a trovare un asilo per i figli piccoli nelle ore diurne, dato che entrambi mamma e papà devono andare a lavoro. Bisognerebbe capire se altrettanto fortunati sono i bambini depositati come pacchi postali negli asili suddetti, che nonostante le migliori intenzioni degli insegnanti delle materne vedono sparire senza spiegazioni il papà che li accompagna in fretta e furia e si ritrovano con estranei, alcuni della loro età che piangono disperati, altri che tenterebbero di infilargli un dito in un occhio se non ci fosse lì la maestra, che in fondo è brava, ma è un altro estraneo.

Qui qualcosa non torna, perché ogni mamma e ogni psicologo sa che i primi due anni di vita sono fondamentali per la crescita psicologica dell’essere umano, sono insostituibili nel senso che qualunque trauma avuto in quest’epoca uno se lo tira dietro per il resto dei giorni. E nei primi due anni di vita i bambini hanno bisogno di due cose: mamma e casa. Poi anche la pappa, gli amici, il nonno, l’asilo magari; ma quello che “toglietemituttomanonilmioBrail” è il binomio mammacasa.

Perché serve un punto di riferimento per crescere e un abbraccio familiare e caldo per tranquillizzarsi, e non sono balle, perché la mancanza di carezze e di riferimenti genera stress e questo influisce su un circuito neurologico che ha come centro la base del cervello dove c’è l’amigdala, che è bloccata da una percezione di insicurezza e quando è bloccata chiude l’accesso delle sensazioni all’ippocampo, centro dell’accumulo delle memorie e della risposta futura allo stress. Questo vuol dire che lo stress infantile ci marca per tutta la vita.

Purtroppo non ci sono alternative all’asilo e allo stress che ne consegue; eppure nessuno ne tiene conto. Piange il cuore nel momento del distacco a scuola, ma poi si fila al lavoro, come se un vortice ci risucchiasse e noi sentissimo quello che è chiaramente ingiusto come ineluttabile. Lo Stato pensa al massimo (quando va bene) a garantire un asilo alle famiglie, ma qui si ferma. Eppure la letteratura scientifica parla chiaro: i traumi infantili si pagano, come ben spiega la psichiatra Clancy McKenzie nel suo Delayed Posttraumatic Stress Disorders from Infancy: The Two Trauma Mechanisms (Harwood Academia Publishers) e i lavori basilari di John Bowlby sulla teoria dell’attaccamento. Per Bowlby è molto importante che il legame di attaccamento si sviluppi in maniera adeguata, poiché dipende da questo un buon sviluppo della persona: stati di angoscia e depressione dell’età adulta possono essere ricondotti a periodi in cui la persona ha fatto esperienza di disperazione, angoscia e distacco durante l’infanzia. Secondo Bowlby il modello di attaccamento, sviluppatosi durante i primi anni di vita, è qualcosa che va a caratterizzare la relazione stessa con la figura di riferimento durante l’infanzia. Questo diviene successivamente un aspetto della personalità e un modello relazionale per i futuri rapporti.

Questo non vuol dire che l’asilo marchi tutti allo stesso modo e segni tutti negativamente. Fortunatamente lo sforzo delle maestre mette riparo a tanti disordini e disastri. Ma non sarebbe il caso di pensare a una soluzione diversa e non solo per chi si può permettere di non andare a lavoro la mattina, ma perché questo privilegio di stare coi propri figli e di far stare i propri figli a casa loro valga per tutti? Non è possibile essere creativi, evitare di buttare giù dal letto i bambini in pieno sonno? Evitare di creare una società dove la famiglia è per la scuola e non viceversa? Dove la famiglia supporta e compie il lavoro della scuola mentre il fiume della nostra umanità vorrebbe il contrario?

Viene da applicare qui una ben nota frase (“È l’uomo fatto per il sabato o è il sabato a essere fatto per l’uomo?”): è il bambino che si deve adattare alla scuola o è la scuola che si deve adattare al bambino? Anzi, è la società che si deve adattare al bambino, o viceversa? Per ora l’adattamento è a senso unico: le famiglie si adattano al mondo del mercato e i bambini alle corse trafelate dei genitori. Ma qualcosa deve cambiare. Perché non si tratta di avere scuole diverse o maestre migliori (e spesso sono bravissime): si tratta di dare la possibilità a tutti di aver cura, “taking care”, del proprio bambino, nel posto più congeniale: casa sua; e al bambino riconoscere il diritto ad evitare traumi da trasporto, da distacco, da frustrazione; come insegna la miglior pedagogia.

Carlo Bellieni

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