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Ancora su scuola e tecnologia

Lo storico della pedagogia Adolfo Scotto di Luzio si è recentemente aggiunto, col suo pamphlet “Senza educazione. I rischi della scuola 2.0” (il Mulino, Bologna 2015), alla schiera dei critici della rivoluzione digitale in atto nella scuola. La posizione dell’autore è ben articolata. Vediamone le tre tesi iniziali.In primo luogo, osserva, i requisiti della qualità scolastica sono i buoni insegnanti e i presidi capaci: lista breve in cui la tecnologia non compare. In secondo luogo, quando si viene meno al primo punto, non sono certo le tecnologie a migliorare la situazione. Al contrario, secondo l’autore, l’introduzione della tecnologia può semmai compromettere le già precarie condizioni di partenza. Quando invece le cose funzionano (ed è questa la terza tesi) e la scuola è di buona qualità, non è certo così perché la tecnologia ha aggiunto qualcosa.

L’autore denuncia che, negli ultimi decenni, spinte ideologiche molto forti hanno fatto della digitalizzazione un obiettivo sempre più pressante. Vi sono interessi economici in chi cerca nella scuola un nuovo mercato tutto da esplorare e sfruttare. “La scuola è diventata un mercato attorno al quale si organizzano altri mercati”, osserva l’autore. Sono proprio gli interessi economici a pesare maggiormente sulle decisioni di sistema dei politici.

Il discorso di Scotto di Luzio si svolge tenendo conto dei dati derivati dalle esperienze avviate in passato, come Cl@assi 2.0, della letteratura scientifica e della conoscenza di quanto avviene in altri paesi. Circa l’esperienza di Cl@ssi 2.0, svoltasi tra il 2009 e il 2011, l’autore discute il rapporto finale sul progetto. Egli mostra come chi ne aveva il compito ha riconosciuto che valutare gli esiti dell’iniziativa è stato nel complesso impossibile, perché la sperimentazione è stata C’è qualcosa di profondo e inquietante che questa esperienza delle Cl@assi 2.0 rivela sullo stato della nostra istruzione pubblica, e cioè il suo vero andare per conto proprio, senza direzione, vittima di un evidente difetto di razionalità amministrativa.avviata e condotta in modo da non consentire una valutazione scientifica rigorosa. Ecco le conclusioni preoccupate dell’autore: “C’è qualcosa di profondo e inquietante che questa esperienza delle Cl@assi 2.0 rivela sullo stato della nostra istruzione pubblica, e cioè il suo vero andare per conto proprio, senza direzione, vittima di un evidente difetto di razionalità amministrativa, che si risolve in una sostanziale incapacità da parte del centro di capire quello che accade nelle scuole e nelle classi e dunque di governare in maniera efficace il sistema”. Infatti, le attività svolte in Cl@assi 2.0 non hanno dato modo di capire se quelle sperimentazioni hanno effettivamente apportato un guadagno in termini di acquisizione delle conoscenze e di formazione da parte dei giovani. Insomma, abbiamo speso molti soldi e non sappiamo se sono serviti a qualcosa. Scotto, sconfortato, osserva: “Abbiamo speso 5 milioni di euro per mettere i banchi a spina di pesce e per creare isole di apprendimento”.

L’autore dà però forse il meglio di sé argomentando la quarta tesi del libro: ciò che avviene davvero a scuola non è, propriamente, l’acquisizione di un mestiere, ma la crescita della persona che avviene quando gli individui sviluppano in sé problemi di natura morale e intellettuale che solo un adulto colto e appassionato è in grado di esprimere. Pur con accenti forse più adatti alla formazione liceale (magari classica) che ad altri ordini e gradi, come ad esempio la scuola professionale o quella elementare, Scotto ha comunque espresso il nucleo vocazionale generale della scuola. Egli, insomma, ha avuto il coraggio di ricentrare il discorso, portandolo sul piano educativo: non è poco in un tempo in cui si sente dire tutto e il contrario di tutto e non è facile trovare una bussola Si tratta di un contributo, quello della pedagogia, che i decisori politici dovrebbero ascoltare con molta attenzione.per orientarsi. 
Si tratta di un contributo, quello della pedagogia – che si esprime in questo libro attraverso Scotto –, che i decisori politici dovrebbero ascoltare con molta attenzione. In un sistema a risorse limitate, la decisione su come andrebbero spesi i soldi pubblici andrebbe presa con ponderazione, tenendo conto delle priorità e perciò del significato dell’azione che si svolge a scuola. Si potrebbe così scoprire che forse ci sono modi di impiego delle risorse economiche che darebbero vantaggi maggiori rispetto agli investimenti sulla tecnologia, come per esempio investire sugli insegnanti. Detto ovviamente solo per ipotesi. Bisognerebbe comunque cominciare a fare delle sperimentazioni serie, rigorose. Avere la smania di trovarsi all’avanguardia, pensando che tecnologia significhi essere avanti ipso facto, a volte non paga. Con grande saggezza, l’autore infatti rileva che “il ritardo di un paese è un vantaggio se dispensa dal ripetere gli errori delle nazioni più avanzate”.

Il ritardo di un paese è un vantaggio se dispensa dal ripetere gli errori delle nazioni più avanzate.Nel complesso, le preoccupazioni di Scotto e buona parte dei suoi giudizi mi paiono condivisibili. Primo fra tutti, che quello che avviene a scuola è essenzialmente un’esperienza educativa e che è su di essa che dovrebbe ruotare tutto il resto, e non già che si cominci a pensare alla scuola dagli strumenti che vi si impiega. Confesso però di aver provato un certo disagio per il tono forse eccessivamente conservatore, se non vagamente luddista, con cui il libro criticava tablet, tecnologia e politiche scolastiche pro digitale, proprio mentre lo stavo leggendo sul mio iPad pro (perfidia dell’editore che ha rilasciato una versione ebookdel libro) e mentre sottolineavo le parole, testando le capacità della mia Apple pencil nuova fiammante.

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