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La nuova etica globale

(da “La nuova etica globale” – Institute for Intercultural Dialogue Dynamics asbl – Institute for Intercultural Dialogue Dynamics asbl – Marguerite A. Peeters)

L’obiettivo di questo scritto è quello di introdurci alle sfide della nuova etica che si è imposta a livello mondiale a partire dalla fine della guerra fredda, e di incoraggiare i cristiani al discernimento. Una rivoluzione culturale globale si è verificata immediatamente in seguito alla caduta del muro di Berlino del 1989: un nuovo linguaggio, nuovi paradigmi, norme, valori, stili di vita, metodi educativi e processi di governanza appartenenti ad un’etica nuova – ad un tempo postmoderna e, nei suoi aspetti radicali, post-giudaico-cristiana – si sono imposti con un successo folgorante in tutto il mondo.

La nuova etica vuole essere globalmente normativa: in pratica, sta già governando. La maggioranza degli intellettuali e dei decisori hanno seguito le nuove norme e i nuovi valori senza prendere il tempo necessario per studiarne accuratamente la provenienza e le implicazioni, mentre solo una piccola minoranza è stata reazionaria. Né gli uni, né gli altri hanno attuato il necessario discernimento.

Il contenuto della nuova etica non è esplicito ed evidente. Presentandosi come “dolce” e “consensuale”, essa proviene in realtà largamente dall’apostasia occidentale e nasconde un programma anticristico. Numerosi cristiani fanno già confusione fra la dottrina sociale della Chiesa e i paradigmi della nuova cultura. Il pericolo che i cristiani si allineino è particolarmente vivo nei paesi in via di sviluppo che oggi subiscono direttamente e con forza gli effetti della globalizzazione. D’altra parte, i cristiani non possono però dubitare della guida provvidenziale degli eventi del mondo. Essi sono chiamati a discernere i segni dell’azione del Santo Spirito nella nuova cultura e ad evangelizzarla.

L’ignoranza delle vere poste in gioco, tanto sociopolitiche e culturali quanto antropologiche e teologiche, è abissale. Ora, l’ignoranza è sempre cattiva consigliera. I cristiani sono chiamati ad assumere le loro responsabilità. Il discernimento non può attuarsi senza un serio studio del contenuto e del processo della rivoluzione culturale. Ci auguriamo che questo opuscolo possa rendere più evidente la necessità critica di un tale lavoro, che appartiene alla missione di evangelizzazione della Chiesa.

 

Una rivoluzione culturale globale

A partire dalla fine della guerra fredda, centinaia di nuovi concetti si sono diffusi con estrema rapidità fino ai più remoti confini del mondo, esprimendosi attraverso i termini di un nuovo linguaggio. Citiamo, alla rinfusa, qualche esempio:

globalizzazione umanizzante, cittadinanza globale, sviluppo sostenibile, buona governanza, etica mondiale, diversità culturale, libertà culturale, dialogo fra civiltà, qualità della vita, educazione per tutti, educazione di qualità, educazione fra “pari”, educazione alla pace, scelta informata, consenso informato, “gender”, pari opportunità, principio di equità, emancipazione (delle donne, dei bambini), empowerment, omoparentalità, omofobia, orientamento sessuale, stili di vita, integrità corporea, aborto “senza rischi”, accesso ai diritti, diritto alla scelta, diritti sessuali e riproduttivi, diritti delle donne, diritti dei bambini, diritti delle generazioni future, organizzazioni non-governative (ONG), società civile, partenariati, trasparenza, partecipazione della base, democrazia partecipativa, reti transnazionali, olismo, costruzione di consenso, facilitazione, approccio inclusivo, campagne di sensibilizzazione, chiarificazione dei valori, agenti di trasformazione sociale, parlamento dei giovani, responsabilità sociale delle imprese, commercio equo, sicurezza umana, principio di precauzione, prevenzione…

Nessuno può più negare il predominio di questi concetti nella cultura contemporanea, la cui caratteristica più evidente è quella di essere globale.

Nel suo insieme, questo apparente guazzabuglio di termini e di concetti non può venire, in se stesso, né condannato, né approvato. Valori perenni e aspirazioni umane autentiche si mescolano ai frutti amari dell’apostasia occidentale che hanno viziato dall’interno il processo di globalizzazione.

Il nuovo linguaggio globale tende tuttavia ad escludere esplicitamente termini appartenenti alla tradizione giudaico-cristiana, quali:

verità, morale, coscienza, ragione, cuore, volontà, genitori, sposo, marito, moglie, madre, padre, figlio, figlia, verginità, castità, complementarietà, servizio, autorità, gerarchia, giustizia, legge, comandamento, dogma, fede, carità, speranza, sofferenza, peccato, amico, nemico, natura, rappresentanza democratica…

Non ha Jacques Derrida, maestro della decostruzione postmoderna, poco prima della sua morte nel 2004, in un’intervista al quotidiano Le Monde suggerito di eliminare la parola “matrimonio” dal codice civile francese per risolvere il problema dello statuto giuridico delle coppie omosessuali? L’esclusione di certe parole è un fattore importante da considerare nella nostra analisi.

Alcuni nuovi concetti si sono trasformati in paradigmi globali. Si è così passati da una generazione spontanea di concetti ad un processo normativo attraverso il quale le minoranze al potere della governanza mondiale sono riuscite ad imporre a tutti la loro interpretazione ideologica dei nuovi concetti: il processo normativo è andato di pari passo con un processo di radicalizzazione ideologica. Parlare pubblicamente dell’omosessualità come di un peccato, per esempio, viene ormai a violare una norma suprema della nuova cultura: il diritto di scelta assolutizzato o principio di non-discriminazione.

I nuovi concetti rifl ettono i drammatici cambiamenti culturali che segnano il passaggio della civiltà occidentale dalla modernità alla postmodernità, dai paradigmi moderni ai paradigmi postmoderni, vale a dire:

dallo sviluppo come crescita allo sviluppo sostenibile; dal governo alla governanza; dalla democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa; dall’autorità all’autonomia e ai diritti dell’individuo; dalle gerarchie all’uguaglianza; dagli sposi ai partners; dalla felicità alla qualità della vita; dal dato al costruito; dalla famiglia alla famiglia sotto tutte le sue forme; dai genitori ai riproduttori; dalla conoscenza alle competenze; dalla crescita all’equilibrio; dalla vita umana alla vita sotto tutte le sue forme; dai bisogni materiali oggettivi e misurabili all’approccio arbitrario dei diritti; dalla carità ai diritti; dalla sofferenza con dignità al diritto di morire; dall’identità culturale alla diversità culturale; dalla sicurezza internazionale alla sicurezza umana; dall’approccio settoriale all’approccio olistico; dal voto alla maggioranza al consenso; dal dogma alla libertà di interpretazione; dall’internazionale al globale; dai valori universali all’etica globale e via di seguito.

I cambiamenti culturali sopraggiunti in seguito alla fine della guerra fredda hanno assunto le dimensioni di una rivoluzione culturale globale. Le loro implicazioni per la vita sociopolitica e per la trasmissione della fede cristiana sono estremamente complesse e devono essere studiate una ad una con estrema attenzione.

Le nuove norme non costituiscono solamente un nuovo quadro concettuale adottato a livello mondiale, ma si presentano come principi dinamici di azione che hanno già portato a trasformazioni concrete e irreversibili in tutti i settori della vita sociale e politica. Queste trasformazioni ci riguardano tutti, direttamente, là dove ci troviamo, nella nostra vita quotidiana, soprattutto negli ambiti più importanti per la moralità personale e sociale quali l’educazione e la salute: nuove leggi e politiche, radicali cambiamenti di mentalità e di stili di vita, codici di comportamento per le istituzioni e per le imprese, trasformazione dei contenuti dei manuali e dei curricula scolari, nuove norme e metodiche decisionali in politica, nelle cure sanitarie e nei sistemi educativi, nuove priorità strategiche per la cooperazione internazionale, una approccio radicalmente nuovo allo sviluppo, una trasformazione fondamentale dei principi e dei meccanismi della democrazia, un nuovo ethos sociale che va imponendosi a noi tutti.

L’effi cacia di questa rivoluzione è stata tale da aver reso le nuove norme onnipresenti. Esse imbevono la cultura delle organizzazioni internazionali, sopranazionali e locali, la cultura dei governi e dei ministeri, la cultura dei partiti politici (siano essi di sinistra o di destra) e delle autorità locali, la cultura delle imprese, la cultura dei sistemi educativi e sanitari, la cultura dei media, la cultura di innumerevoli reti di ONG e di governanza transnazionale. Allo stesso modo, il nuovo linguaggio è penetrato anche nelle grandi religioni – e anche un buon numero di ONG e organizzazioni caritative cristiane non hanno resistito alla sua attrazione, senza preoccuparsi sempre delle possibili conseguenze per la fede di un tale allineamento.

Ovunque nel mondo, società e nazioni vivono ormai in un contesto culturale retto da valori quali la “sostenibilità”, il “consenso”, la “libera scelta”, l’“uguaglianza dei sessi”, la “diversità”, l’“olismo”, la “partecipazione della base” e via di seguito. Bene o male, se ne sia o meno coscienti, la cultura mondiale ci educa tutti. Ora, ripetiamolo, il contenuto di questa cultura, esteriormente seducente, che tanto sembra corrispondere allo spirito del tempo, non è esplicito ed evidente. Non è affatto neutro – dove peraltro la neutralità costituisce, a sua volta, un mito nel quale nessuno ha mai creduto fi no in fondo.

I nuovi valori sono ambivalenti, in modo da permettere la coesistenza malsana della possibilità di un consenso genuino e di un programma radicale. L’ambivalenza non è sinonimo, come troppo spesso si tende a credere, di tolleranza e di scelta. L’ambivalenza costituisce un processo di decostruzione della realtà e della verità che porta all’esercizio arbitrario del potere e all’intolleranza – all’imposizione del programma delle minoranze manipolatrici alle maggioranze incoscienti. Il paradosso della postmodernità sta proprio nel cercare, da un lato, di smantellare il potere così come era stato esercitato nella modernità e, dall’altro, di imporlo in una maniera nuova ed molto reale, benché sottile.

Integrati all’interno di una cultura, i nuovi concetti non sono in realtà un “guazzabuglio”. La nuova cultura è in una dinamica che obbedisce ad una sua propria logica interna. I nuovi concetti sono interattivi, interdipendenti, inseparabili. Si rinforzano mutuamente. Appartengono ad un sistema, ad un tutto nel quale tutto è in tutto. Per esempio, la buona governanza, che, secondo il nuovo sistema presuppone, fra altri fattori, la costruzione di un consenso e la partecipazione della “base” (vale a dire la partecipazione delle ONG), è la strada da intraprendere per implementare lo sviluppo sostenibile, che, a sua volta, passa attraverso l’uguaglianza dei sessi, quindi attraverso l’accesso globale alla salute riproduttiva fondata sul diritto di scelta e di cui l’aborto “senza rischi” è la condizione primaria. I nuovi paradigmi sono olistici: si implicano reciprocamente fi no a diventare totalmente inclusivi gli uni degli altri.

I nuovi paradigmi ricevono la loro struttura unifi cante da una nuova etica, che è globale. L’etica globale ha preso il posto dei valori detti universali sui quali, nel 1945, si è costituito l’ordine internazionale del quale non si parla praticamente più. Ora, i punti di partenza e di arrivo dell’etica globale non sono affatto quelli del concetto tradizionale di universalità: l’etica globale è corrotta da un processo di radicalizzazione. Risulta impossibile comprenderla senza metterla in relazione con la “nuova teologia” che ha preceduto la rivoluzione culturale e che ha confi nato la trascendenza di Dio “all’altra riva”, consegnando l’immanenza all’uomo.

Nell’insieme, le nuove norme non sono ancora uffi cialmente entrate nel diritto internazionale e ancora non vincolano giuridicamente i vari stati. Tuttavia, la potenza della rivoluzione è tale che la tirannia viene esercitata in altro modo. Non sono solamente né primariamente gli stati che vi sono “legati”, quanto, prima di tutto, le mentalità e i comportamenti all’interno delle culture del mondo intero.

La nuova etica è un Diktat. Ha già dimostrato di essere più in grado di imporsi e più potente del diritto nazionale e internazionale. In pratica, essa già governa le nazioni del mondo. Quale capo di stato, in effetti, ha proposto, elaborato, espresso un’alternativa ai nuovi paradigmi? Quale organizzazione ha osato mettere in discussione i loro principi soggiacenti? Quale cultura ha opposto loro una resistenza effi cace? Il punto è che tutti gli attori sociali e politici infl uenti, ovunque nel mondo, non solamente non hanno opposto resistenza, bensì hanno internalizzato e si sono appropriati dei nuovi paradigmi. L’allineamento è stato generalizzato.

A dispetto della sua effi cacia folgorante, la rivoluzione culturale mondiale è passata largamente inosservata. E’ stata una rivoluzione silenziosa. Essa si è verifi cata senza spargimenti di sangue, senza confronto aperto, senza colpi di stato e rovesciamenti istituzionali. Non si è nemmeno verifi cato, in nessun paese del mondo, un dibattito democratico aperto e continuativo sul contenuto dei nuovi concetti. Nessuna opposizione o resistenza organizzata si è a tutt’oggi manifestata. Tutto si è svolto senza rumore, per via consensuale, di facilitazione, attraverso campagne di sensibilizzazione e di coscientizzazione, grazie a processi informali, paralleli e orizzontali, di educazione fra “pari”, di chiarifi cazione dei valori (gli esperti in realtà pretendono di “chiarifi care” i valori di culture e tradizioni per integrarvi il loro proprio programma), di dialogo, di partnerships, d’ingegneria sociale, di adeguamento culturale e di altre tecniche “dolci” – tecniche di trasformazione sociale, manipolatrici in quanto nascondono e mirano ad imporre a tutti il programma di qualcuno.

La rivoluzione si è prodotta al di sopra (all’ONU) e al di sotto (sul piano di ciò che viene denominato “movimento della società civile”) del livello nazionale. I veri “proprietari” della nuova etica non sono i governi e i cittadini che essi rappresentano, bensì i gruppi di pressione che perseguono interessi particolari che, come vedremo, si sono impadroniti surrettiziamente del potere normativo mondiale. Questi gruppi costituiscono la punta di lancia della rivoluzione, gli esperti che hanno forgiato il nuovo linguaggio con fi ni manipolatori, i pionieri della nuova cultura, i sensibilizzatori che hanno condotto la campagna, i costruttori di consenso, i facilitatori, i partners di base, gli ingegneri sociali, i campioni della nuova etica.

Avendo aggirato i principi democratici, la rivoluzione non ha sconvolto le strutture esterne delle istituzioni politiche. Non ha ancora modifi cato il loro mandato. Non ha ancora portato ad un nuovo regime politico. I radicali cambiamenti di mentalità e di comportamento si sono prodotti all’interno delle istituzioni, all’interno delle famiglie, delle scuole, degli ospedali, delle aziende, dei ministeri, dei governi, delle culture, delle organizzazioni religiose – della Chiesa. La facciata istituzionale è rimasta in piedi, ma i nemici già occupano l’interno dell’edifi cio. L’avversario è da cercarsi dentro. Il luogo del combattimento postmoderno è all’interno, e ciò spiega come ancora non sia stato identifi cato dalla maggioranza delle persone.

Contesto storico

Come è avvenuta la rivoluzione culturale? La congiuntura storica che si è verifi cata in seguito alla caduta del muro di Berlino ha facilitato la presa del potere normativo mondiale da parte delle minoranza attive nel seno delle organizzazioni internazionali e, in particolare, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’ONU.

Alla fi ne della guerra fredda, l’umanità che progrediva rapidamente nel processo di globalizzazione, era pronta per dei cambiamenti culturali epocali. Si aspirava allora alla pace, alla libertà religiosa, ad un nuovo autentico consenso, alla riconciliazione tra i popoli, ad un reale sviluppo centrato sulla persona, alla solidarietà Nord-Sud, alla partecipazione della base nelle decisioni, ad una visone olistica della realtà, ad una integrazione cosciente delle questioni umane e ambientali nelle politiche, alla decentralizzazione del potere, alla sussidiarietà, alla giustizia, ad un dialogo autentico fra le culture e le religioni e ad un reciproco rispetto. Lo sviluppo sostenibile, l’emancipazione delle donne, la buona governanza, l’educazione alla pace, il dialogo fra le civiltà e la maggior parte degli altri paradigmi adottati nel corso degli anni novanta sembravano rispondere alle reali attese dell’umanità. In realtà, le aspirazioni dell’umanità sono state sviate. L’etica globale, la solidarietà, l’altruismo, la compassione, la partecipazione, il discorso umanitario spesso nascondono un processo di decostruzione dei valori comuni dell’umanità e non corrispondono alle aspirazioni della base.

La fi ne del confl itto Est-Ovest ha coinciso con una rapida accelerazione della globalizzazione economica. Il potere fi nanziario ed economico delle multinazionali aumentava allora in modo esponenziale, mentre il potere degli stati nazionali sembrava in diminuzione. L’ONU cercava di rinforzare le sue istituzioni e di situarsi nel centro strategico della governanza mondiale. Proclamando di aver ricevuto un mandato etico e di godere di una “autorità morale universale”, l’ONU si presentava come la sola istituzione capace di rendere la globalizzazione umana, etica e sostenibile. Accaparrandosi il monopolio dell’etica per l’era della globalizzazione, si proponeva come il contrappeso etico del potere economico del mercato. L’ONU argomentava inoltre che i “problemi mondiali” richiedevano non soltanto delle soluzioni mondiali, ma anche dei valori mondiali – una etica mondiale che solo l’ONU pretendeva di essere capace di forgiare e di far applicare.

Non appena cessata la guerra fredda, l’ONU organizzò una serie senza precedenti di conferenze intergovernative. L’obiettivo del processo di conferenze era quello di costruire una nuova visione del mondo, un nuovo ordine mondiale, un nuovo consenso mondiale alle norme, ai valori e alle priorità per la comunità internazionale, sotto il segno della nuova era che andava inaugurandosi: educazione (Jomtien, 1990); infanzia (New York, 1990); ambiente (Rio, 1992); diritti umani (Vienna, 1993); popolazione (Il Cairo, 1994); sviluppo sociale (Copenhagen, 1995); donne (Pechino, 1995); habitat (Istanbul, 1996); sicurezza alimentare (Roma, 1996). Le conferenze erano concepite come un continuum e il consenso mondiale come un “pacchetto” integrante tutti i nuovi paradigmi, nel quadro di una nuova sintesi culturale ed etica.

Non sono occorsi che sei anni perché il consenso fosse costruito e adottato. A partire dal 1996 ebbe inizio la fase di applicazione, durante la quale gli agenti della rivoluzione hanno gelosamente vegliato per evitare qualsiasi dibattito che avrebbe potuto “riaprire” e rimettere in causa tale preteso consenso.

La rivoluzione di Internet, la crescita esponenziale di partnerships in ogni direzione e di reti informali di governanza transnazionale (che raggruppano fondazioni multimiliardarie, politici di medesimo orientamento, ONG, rappresentanti del mondo dell’alta fi nanza, aziende, accademici – reti già diventate di gran lunga più potenti della moribonda ONU), la globalizzazione sotto tutte le sue forme e la strategia di localizzazione e di decentralizzazione dell’ONU, hanno contribuito a permettere l’effettiva applicazione del programma mondiale a livello locale, passando attraverso i piani regionali e nazionali. Ormai, la rivoluzione è compiuta.

Per mandato, l’ONU è un’organizzazione intergovernativa. Per questo, si supponeva che il “consenso globale” rifl ettesse la volontà dei governi, che, a loro volta, si supponeva rappresentassero la volontà del popolo. Di fatto, tuttavia, le norme mondiali sono state costruite da “esperti” scelti in funzione dello slancio ideologico che hanno saputo dare alla rivoluzione.

Come una tale presa del potere normativo globale da parte degli ideologi ha potuto realizzarsi? Nel 1989 la maggioranza delle persone ragionava come se la “fi ne delle ideologie” avesse automaticamente posto il mondo intero in uno stato di consenso. Secondo la mentalità dominante, i problemi dell’umanità erano ormai unicamente di natura pragmatica: il degrado ambientale, la disuguaglianza fra i sessi, la crescita demografi ca, gli abusi nel campo dei diritti umani, la crescita della povertà, la mancanza di accesso alle cure e all’educazione e così via, diventavano “le” questioni al centro della cooperazione internazionale, questioni che si pretendevano “neutre”. L’ONU per di più argomentava che questi problemi erano “globali” per natura. Secondo il ragionamento logico che poi effettivamente è stato seguito, i governi avevano innanzitutto bisogno della expertise tecnica e della esperienza sul campo delle ONG. L’errore della maggioranza delle persone, in quest’ora cruciale per l’umanità, è stato quello di precipitarsi ciecamente nel mito della neutralità della scienza senza prestare attenzione alle cruciali poste in gioco ideologiche e antropologiche di queste nuove tematiche.

In realtà, la generazione del Maggio 1968, la potente lobby di controllo della popolazione e la sua industria miliardaria, le ONG eco-femministe così come i gruppi e gli accademici di ispirazione postmoderna e segnati dall’apostasia occidentale avevano occupato posti-chiave all’ONU e nei suoi organi specializzati a partire dagli anni sessanta. Mentre i governi occidentali erano occupati a contenere la minaccia sovietica durante la guerra fredda, una minoranza di ideologi di stesso orientamento, lavorando in seno alle burocrazie internazionali e operando attraverso reti, acquisivano una competenza incontestabile nel campo delle questioni socioeconomiche inerenti alle conferenze. Dopo il 1989, essi si sono presentati come “gli” esperti dei quali la comunità internazionale aveva bisogno per rispondere alle nuove sfi de per l’umanità. Senza incontrare opposizione, questi nuovi despoti illuminati, con il pretesto della loro competenza, hanno esercitato una leadership normativa a livello mondiale.

Il fattore politico predominante della rivoluzione culturale è stato il controllo effettivo acquisito dalle ONG – motore della rivoluzione – così come da altri “attori non-statali”, sull’apparato ONU e, attraverso il Segretariato ONU, su tutti gli stati membri. L’infl uenza delle grandi ONG sull’orientamento delle politiche “globali” forgiate in seguito alla caduta del muro di Berlino è aumentato in modo esponenziale. Le ONG sono state le partners primarie del Segretariato e delle agenzie ONU.

L’interazione fra ONU e ONG è rapidamente evoluta prendendo forma in un principio – il principio di partenariato – che costituì uno dei temi principali della conferenza di Istanbul del 1996. Tale principio prevede che attori governativi e attori non-governativi siano trattati come partners eguali nel compimento di uno scopo comune e che condividano le stesse opinioni e la medesima visione strategica. Le forze ideologicamente non allineate sugli obiettivi dei “partners”, siano esse statali o non-statali, sono escluse d’uffi cio. Ciò che in pratica si è verifi cato a partire dall’adozione di tale principio, è che le norme postmoderne della nuova etica globale hanno fornito a tutti i partners esistenti la loro comune visione unitaria.

La logica del principio di partenariato prevede che venga rivendicato per i “partners” un sempre maggior potere politico, a scapito dei legittimi detentori del potere. È dunque lecito chiedersi se il principio di partenariato non contribuisca a demolire la democrazia rappresentativa tradizionale, così come lo stato di diritto. Malgrado ciò, tale principio si è imposto con una forza tale da realizzare una cultura globale di partnerships.

Il principio di partenariato ha creato, a sua volta, nuovi standards politici, fra i quali: la buona governanza, la democrazia partecipativa, il consenso pluriazionario, le reti transnazionali di governanza. Questi standards non si fondano più sul principio di rappresentanza democratica (collegato a sua volta ai valori universali), bensì sul principio di partenariato che di fatto dipende dalla nuova etica globale. Il pericolo insito in questi standards è quello di assegnare l’autorità legittima dei governi a gruppi di interessi particolari, non soltanto privi di legittimità, ma, il più delle volte, radicali. Sottolineiamo inoltre che la democrazia partecipativa e la buona governanza non sono affatto inserite nella democrazia rappresentativa né possono da questa venire controllate. Considerate come suoi complementi, esse si sono sviluppate in parallelo.

Il consenso globale viene defi nito, nel gergo ONU, pluriazionista. Ciò signifi ca che si presume che tutti i “cittadini del mondo” siano coinvolti, padroneggino il programma, lo promuovano, lo insegnino, lo applichino, lo facciano rispettare: non soltanto i governi, ma le ONG, i protagonisti della società civile, i gruppi di donne, le aziende e le industrie, le comunità scientifi che e tecnologiche, le famiglie, i giovani e i bambini, il mondo accademico, le organizzazioni-ombrello, i sindacati, le autorità locali, i coltivatori, i popoli indigeni, i media, gli imam e i pastori… L’etica globale si pone al di sopra di tutto – a un “meta” livello: al di sopra della sovranità nazionale, dell’autorità dei genitori e degli insegnanti, al di sopra persino dell’insegnamento delle grandi religioni. Essa oltrepassa ogni legittima gerarchia. Ha creato un legame diretto fra sé e il singolo cittadino: è proprio di una dittatura.

 

Postmodernità e radicalismo

La rivoluzione culturale ha trovato il suo equilibrio nella postmodernità. La postmodernità primariamente destabilizza o decostruisce la modernità – vale a dire la sintesi culturale che ha prevalso in Occidente a partire dai trattati di Westfalia (1648) – e i suoi abusi quali il razionalismo, l’istituzionalismo, il formalismo, l’autoritarismo, il marxismo e il pessimismo liberale. In questo senso, la postmodernità presenta un carattere provvidenziale. Tuttavia, nei suoi aspetti radicali, essa spinge ancora più lontano della modernità l’apostasia occidentale. Certamente, sia nella postmodernità come nella modernità, non tutto è senza mezzi termini.

Lo sconvolgimento del maggio 1968, il suo rigetto della tradizione e dell’autorità, la sua esaltazione radicale della libertà individuale e il rapido processo di secolarizzazione che ne è seguito hanno precipitato la situazione di transizione delle società occidentali verso la “civiltà non-repressiva” preconizzata da Herbert Marcuse, padre postmoderno della rivoluzione culturale occidentale. La postmodernità implica una destabilizzazione della nostra comprensione razionale e teologale della realtà, della struttura antropologica donata da Dio all’uomo e alla donna, dell’ordine dell’universo quale è stato creato da Dio. Il postulato di base della postmodernità è che la realtà è una costruzione sociale, la verità e la realtà non hanno un contenuto stabile e oggettivo – di fatto, in sé, non esistono. La realtà non sarebbe che un testo da interpretare. Alla cultura postmoderna risulta indifferente che tale testo sia interpretato in una tale o talaltra maniera: tutte le interpretazioni, quanto al valore, si equivarrebbero. Se dunque il “dato” non esiste, allora le norme e le strutture sociali, politiche, giuridiche, spirituali possono venire decostruite e ricostruite a piacere, secondo le trasformazioni socioculturali del momento e la scelta dell’individuo del quale la postmodernità esalta la sovranità arbitraria e l’assoluto diritto di scelta. L’etica globale postmoderna celebra le differenze, la diversità delle scelte, la diversità culturale, la libertà culturale, la diversità sessuale (differenti orientamenti sessuali). Questa “celebrazione” è in realtà quella della “liberazione” dell’uomo e della donna rispetto alle condizioni esistenziali nelle quali Dio li ha situati.

Ma l’esaltazione del libero arbitrio contraddice il carattere normativo dei valori postmoderni e, in particolare, del diritto di scelta, valore supremo della nuova cultura. Il radicalismo postmoderno postula che l’individuo, per poter esercitare il suo diritto di scelta, deve potersi “liberare” di qualsiasi quadro normativo – sia esso semantico (defi nizioni chiare), ontologico (l’essere, il dato), politico (la sovranità dello stato, l’autorità morale del governo), morale (le norme trascendenti), sociale (i tabù, i divieti), culturale (le tradizioni) o religioso (l’insegnamento delle religioni, la dottrina della Chiesa). Tale pretesa “liberazione” diventa un imperativo della nuova etica. Essa passa attraverso la destabilizzazione e la decostruzione (parole-chiave della postmodernità) delle defi nizioni chiare, del contenuto del linguaggio, delle tradizioni, delle istituzioni, della conoscenza oggettiva, dell’essere, della ragione, della verità, delle legittime gerarchie, dell’autorità, della natura, della crescita, dell’identità (personale, genetica, nazionale, culturale, religiosa…), di tutto ciò che viene considerato come universale e, di conseguenza, dei valori giudaico-cristiani e della rivelazione divina.

Quando, nel 1948, è stata adottata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la cultura occidentale ancora riconosceva l’esistenza di un ordine dato all’universo. L’articolo primo della Dichiarazione afferma che “tutti gli esseri umani sono nati liberi ed uguali in dignità”. Il testo parla della dignità umana inerente a tutti i membri della famiglia umana. Se essa è inerente, deve quindi venire riconosciuta, e i diritti umani devono allora essere dichiarati, non fabbricati ex nihilo. Nel 1948, il concetto di universalità era inscindibilmente legato al riconoscimento dell’esistenza di tali diritti. L’universalità possedeva una dimensione trascendente e, di conseguenza, delle implicazioni morali.

I diritti umani universali si sono resi autonomi da ogni riferimento morale oggettivo e trascendente. Il principio puramente immanente del diritto di scelta è il risultato di questo divorzio. La postmodernità rivendica il diritto di esercitare la propria libertà individuale contro la legge naturale, contro le tradizioni e contro la rivelazione divina. Essa rifonda lo stato detto “di diritto” e la democrazia sul diritto di scelta, nel quale include il diritto di compiere scelte anche intrinsecamente cattive: aborto, omosessualità, “libero amore”, eutanasia, suicidio assistito, rifi uto di ogni forma di autorità o di legittima gerarchia, “tolleranza” obbligatoria di tutte le opinioni, spirito di disubbidienza che si esprime in forme tanto numerose quanto varie. Il diritto di scelta arbitrario è diventato la norma fondamentale dell’attuale interpretazione dei diritti e il referente fondamentale della nuova etica globale. Esso sostituisce e “trascende” il concetto tradizionale di universalità. Si situa su un “meta” livello. Si impone e per stesso reclama una autorità normativa mondiale.

L’assenza di una defi nizione precisa costituisce il tratto dominante di tutti i termini e le espressioni del nuovo linguaggio globale – di tutti i paradigmi postmoderni. Gli esperti che hanno forgiato i nuovi concetti hanno esplicitamente rifi utato di defi nirli chiaramente, adducendo l’argomento che defi nirli signifi cherebbe limitare la possibilità di scegliere l’interpretazione che si vuole loro attribuire e ciò verrebbe a contraddire la regola del diritto di scelta. Di conseguenza, i paradigmi postmoderni non si collegano ad un signifi cato stabile e univoco: essi costituiscono, per così dire, degli spazi di interpretazione, dei processi di perpetuo cambiamento, che si espandono indefi nitamente nella misura che i valori della società vanno trasformandosi ed emergono nuove possibilità di scelta, che a loro volta ampliano e modifi cano l’interpretazione dei nuovi paradigmi. Gli ingegneri sociali li defi niscono “olistici” in quanto sarebbero inclusivi di “tutte” le scelte possibili.

Facciamo due esempi : la salute riproduttiva e il “gender”. La pseudodefi nizione della salute riproduttiva che troviamo nel punto 7.2 del documento fi nale della conferenza del Cairo del 1994, consiste in una enumerazione di possibilità di scelta lunga un paragrafo, indefi nita, priva di una sostanza precisa, ambigua. L’assenza di chiarezza è strategica e manipolatrice. Si tratta di permettere la coesistenza delle interpretazioni più contraddittorie: la maternità, la contraccezione o l’aborto; la sterilizzazione volontaria e la fecondazione in vitro; le relazioni sessuali all’interno e fuori del matrimonio, a qualsiasi età, in qualunque circostanza, purché venga rispettato il triplo precetto della nuova etica: il consenso dei partners; la loro “sicurezza” e la prevenzione delle malattie; il rispetto del diritto di scelta della donna. In questo modo, la salute riproduttiva costituisce il cavallo di Troia della lobby del diritto all’aborto e della rivoluzione sessuale. A dispetto del suo carattere spiccatamente incoerente, la salute riproduttiva è diventata una delle norme maggiormente applicate della nuova etica globale.

Il « gender », concetto-chiave della conferenza di Pechino del 1995 è intraducibile in italiano. Esso integra pienamente quello di salute riproduttiva. Viene “defi nito” come corrispondente ai ruoli sociali variabili degli uomini e delle donne, in opposizione alle loro funzioni riproduttive che non sono interscambiabili. In realtà, il gender coincide con un processo di decostruzione della struttura antropologica dell’uomo e della donna, della loro complementarietà, della femminilità e della mascolinità. Il ruolo della donna come madre e sposa e la sua natura stessa di donna non sarebbero che una costruzione sociale: “non si nasce donna, lo si diventa”, diceva Simone de Beauvoir. La decostruzione della persona umana come uomo e donna conduce ad una società asessuata, “neutra”, priva sia di mascolinità che di femminilità, che nondimeno situa la libido nel cuore del diritto. È ad una società senza amore che conduce la decostruzione. Il gender rappresenta il cavallo di Troia della rivoluzione femminista occidentale in ciò che ha di più radicale. Esso si trova al centro delle preoccupazioni mondiali circa lo sviluppo e, in particolare, degli Obiettivi per lo Sviluppo del Millennio.

Esiste uno stretto legame fra l’ideologia del gender e quella dell’“orientamento sessuale” (bisessualità, omosessualità, lesbismo, eterosessualità). L’etica globale pone queste scelte su uno stesso piano di uguaglianza. Analogamente, la conferenza del Cairo ha introdotto il concetto di “famiglia sotto tutte le sue forme”: questo concetto, falsamente “olistico”, integra le famiglie tradizionali, le famiglie allargate e le “famiglie” costituite da persone dello stesso sesso. La maggioranza delle nazioni occidentali sembra percorrere sempre più decisamente la via di una tale “diversità”.

Secondo l’etica postmoderna l’individuo è il “libero” creatore del suo destino e di un nuovo ordine sociale. Egli può scegliere di essere omosessuale oggi e bisessuale domani (orientamento sessuale). I bambini possono scegliere la propria opinione, indipendentemente dai valori che ricevono dai loro genitori (diritti dei bambini). Trattati come cittadini a tutti gli effetti, essi possono partecipare alle decisioni politiche che riguardano la loro vita (parlamento dei bambini, parlamento dei giovani). Gli allievi e gli studenti scelgono il loro proprio curriculum a scuola e all’università, si educano l’un l’altro (educazione fra pari), e gli insegnanti e i professori diventano dei semplici “facilitatori”. Il contenuto dell’educazione non comporta più delle conoscenze stabili e oggettive, ma diviene un mezzo per acquisire “competenze per vivere bene”, delle tecniche per rivendicare i propri diritti, proteggersi dalle malattie e godere del maggior grado di benessere. Le donne rivestono ruoli maschili nella società (società unisex). Le ONG dirigono la politica mondiale e i governi si conformano alla loro etica (buona governanza). I gruppi di donne “chiarifi cano” la dottrina della Chiesa e la democratizzano (chiarifi cazione dei valori, democrazia partecipativa). La lobby dell’eutanasia si fa accanito difensore della “dignità umana”. La salute riproduttiva signifi ca il diritto a non procreare (aborto “senza rischi”, accesso universale alla “gamma completa” dei contraccettivi). Siamo tutti cittadini eguali che godono di eguali diritti, legati gli uni agli altri da relazioni contrattuali prive di amore. Il mondo è sottosopra. Ciò che l’etica globale innanzitutto decostruisce è la struttura antropologica della persona umana.

L’etica postmoderna si gloria di eliminare le gerarchie. Ma, con l’imposizione a livello mondiale della “trascendenza” del libero arbitrio, essa genera una nuova gerarchia di valori. L’etica globale pone il piacere al di sopra dell’amore, la salute e il benessere al di sopra della sacralità della vita, la partecipazione alla buona governanza dei gruppi radicali al di sopra della rappresentanza democratica, i diritti delle donne al di sopra della maternità, l’autonomia dell’individuo egoista al di sopra di ogni forma di autorità legittima, l’etica al di sopra della morale, il diritto di scelta al di sopra della legge eterna inscritta nel cuore dell’uomo, la democrazia e l’umanesimo al di sopra della rivelazione divina – in sostanza, l’immanenza al di sopra della trascendenza, l’uomo al di sopra di Dio, il “mondo” al di sopra del “cielo”.

Le nuove gerarchie costituiscono una nuova forma di dominazione sulle coscienze che il papa Benedetto XVI ha chiamato dittatura del relativismo. L’espressione può sembrare paradossale: dittatura signifi ca la presenza di una imposizione dall’altro, mentre relativismo implica la negazione di ogni assoluto e si oppone proprio contro tutto ciò che viene considerato imposizione dall’alto, in particolare la verità, la rivelazione, la realtà, la moralità. Ciò che ci viene imposto, in una dittatura del relativismo, è la decostruzione della nostra umanità e della nostra fede. Essa ci viene infl itta attraverso una processo graduale di trasformazio-ne culturale apparentemente neutro e inoffensivo. Ma il relativismo indossa una maschera: è dominatore e distruttore.

In passato, ciò che l’Occidente chiamava « nemico » (come, per esempio, il marxismo-leninismo, le dittature sanguinarie) era chiaramente identifi cabile, unico, esterno alle democrazie occidentali, aggressivo, centralizzato, ideologico, localizzato. Questo “nemico” utilizzava metodi visibili e brutali, imposti dall’alto (presa del potere con la forza, regime politico repressivo, arresti e uccisioni) per imporre un regime totalitario, fosse esso nazionale o regionale. Nella civiltà postmoderna, il nemico è inafferrabile, nascosto, interno alle istituzioni, “amichevole”, diffuso, incoerente, decentralizzato, silenzioso, invisibile, globale. Le sue strategie sono dolci e sottili, operanti dalla base, culturali, informali. Il loro risultato fi nale è la decostruzione dell’uomo e della natura e la diffusione culturale dell’apostasia nel mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

Tuttavia, come i sistemi ideologici precedenti, anche l’etica globale fi nirà per autodistruggersi. Minata da contraddizioni interne, non è duratura e crollerà. La civiltà mondiale emergente non necessariamente, però, sarà in grado di ritornare da sé al buon senso ai valori tradizionali: la nuova cultura deve essere evangelizzata. La nuova civiltà mondiale è chiamata ad esser quella dell’amore. La nuova cultura globale post moderna è la cultura che la Chiesa è chiamata a evangelizzare.

La specifi cità cristiana

di fronte all’etica globale

Noi siamo, come dice Gesù, nel mondo, ma non del mondo. Ora, ovunque nel mondo, i cristiani, il più delle volte per ignoranza, subiscono la tentazione di confondere i paradigmi e i valori dell’etica globale con la dottrina sociale della Chiesa; la diversità culturale e gli approcci sensibili ai valori culturali con il rispetto dell’identità delle singole culture; il principio di equità con il concetto giudaico-cristiano della giustizia; la sensibilizzazione o coscientizzazione con l’educazione della coscienza; l’emancipazione delle donne e la parità con l’insegnamento giudaico-cristiano sull’uguale dignità dell’uomo e della donna; la dignità umana con la legge eterna inscritta nella natura dell’uomo; il principio di “pensare positivo” con la speranza teologale; la libertà arbitraria di scelta con la libertà in Cristo; la democrazia partecipativa con una vera partecipazione democratica; la salute riproduttiva con la procreazione, la maternità “senza rischi” con la maternità sana ad un tempo per la madre e per il bambino; le campagne per il cambiamento dei comportamenti (orientate all’utilizzo della contraccezione e dei preservativi) con l’educazione alla castità e alla fedeltà; i diritti dell’uomo e il principio di non-discriminazione con la buona novella della salvezza e della misericordia; il programma delle grandi conferenze dell’ONU e gli Obiettivi per lo Sviluppo del Millennio con uno sviluppo integrale rispettoso del valori e delle culture dei popoli; e via di seguito.

I cristiani non sempre fanno distinzione fra il nuovo sistema etico – costruttivista e falsamente olistico – e la salvezza eterna di Dio. Essi si trovano coinvolti in innumerevoli partenariati diretti da agenti che aderiscono alla nuova etica. Una linea vitale separa tuttavia l’umanesimo post-cristiano dall’umanesimo integrale nato dalla salvezza in Cristo e promosso dalla Chiesa. Nella pratica, tale linea spesso non si rivela più con suffi ciente chiarezza. Ritrovare la specifi cità cristiana, districarla dai programmi ambigui della nuova etica costituisce un compito importante per la Chiesa.

La confusione attuale comporta un duplice pericolo. Prima di tutto, i nuovi concetti tendono ad invadere lo spazio che dovrebbe essere occupato dall’evangelizzazione: predichiamo i diritti dell’uomo, lo sviluppo sostenibile e gli Obiettivi per lo Sviluppo del Millennio invece di predicare il vangelo. Poco a poco, ci lasciamo sedurre da valori laici e perdiamo la nostra identità cristiana. Giovanni Paolo II, nella Redemptoris Missio, non ha forse parlato di una “secolarizzazione graduale della salvezza”?

In secondo luogo, se i leaders cristiani utilizzano i nuovi concetti senza chiarire esplicitamente ciò che li distingue dalla dottrina sociale della Chiesa e dal vangelo, come frequentemente accade, i fedeli saranno disorientati e tenderanno a non discernere la differenza. La confusione che ne consegue può portare alla perdita graduale della fede.

Nella Novo Millennio Ineunte, Giovanni Paolo II ci invita a ripartire da Cristo. È ben questa la nuova partenza alla quale siamo oggi chiamati.

 

 

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L’Istituto per una Dinamica di Dialogo Interculturale studia i concettichiave, i valori e i meccanismi operativi della globalizzazione. L’Istituto elabora rapporti analitici dettagliati su questi argomenti, seguendo l’evoluzione delle istituzioni multilaterali ed altri attori infl uenti nel campo della governanza mondiale. Con un intento educativo, l’Istituto inoltre pubblica manuali, moduli, kit di formazione, diapositive, ed aggiorna un lessico delle parole-chiave dell’etica globale. L’Istituto risponde alle richieste di conferenze, tavole rotonde, seminari di coscientizzazione e di formazione di formatori. Dopo aver identifi cato, a prezzo di notevoli sforzi, i componenti radicali delle trasformazioni culturali mondiali, l’Istituto si orienta sempre di più verso l’esplorazione delle possibilità concrete di alternativa positiva, rispondendo alle aspirazioni reali degli uomini e delle donne del nostro tempo.

L’approccio dell’Istituto è interattivo. Siamo felici di ricevere le vostre domande, commenti, critiche, suggerimenti e contributi e di rispondere nella misura delle nostre possibilità.

 

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